Fatti e racconti importanti del passato
ricostruiti grazie a ricordi ancora vivi o tramite l'uso di fonti e documenti

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Gli auguri de "La Memoria di Monacilioni" per un Natale nel solco della tradizione

Durante la celebrazione della Santa Messa della Notte di Natale, al momento della Consacrazione del Pane e del Vino, l'organista accennava la melodia e, piano piano, i fischietti iniziavano a seguirla. Raccontano gli anziani che, nell'antica Chiesa Madre, molte erano le persone che suonavano i f'sc-carell raccolti attorno a z' R'cucc l'organisc-t. Il “concerto” (a' sunat') spesso si ripeteva anche a Capodanno e all'Epifania.
Questa dei fischietti non è una tradizione esclusiva di Monacilioni, ma i nostri fischietti hanno una caratteristica più unica che rara rispetto a quelli usati in altri contesti.

I f’sc-carell di Monacilioni sono fatti di semplice canna e la particolarità del loro suono (che ricorda il cinguettare di un uccellino) era data dal fatto che erano bucati in fondo e venivano parzialmente immersi in un bicchiere di acqua. Nella parte superiore avevano un solo buco che non veniva tappato con le dita, ma “modulato” da una linguetta di legno (a zepp'). Le note erano il risultato del ritmo dei soffi e del movimento di immersione del fischietto nell’acqua, come si può vedere nel video girato e gentilmente concesso da Antonello Iannone e Antonio Martino. La registrazione risale al 2013 e, fino a quel tempo, la tradizione sembrava poter resistere, mentre negli anni successivi ha invece e purtroppo ceduto il passo.

Esemplari di fischietti abruzzesi in terracotta

A nord e a sud del Molise la tradizione dei fischietti aveva connotati diversi.
In Abruzzo, ad esempio, i fischietti erano di terracotta ed erano realizzati dai vasai che, dovendo rimanere svegli tutta la notte per controllare la combustione dei forni a legna, si tenevano attivi producendo oggetti “minori” come, appunto, i fischietti, chiamati anche lu cuccù perché producevano due note che ricordavano il verso del cuculo, molto comune nei boschi delle montagne abruzzesi.
Il tipico cuccù abruzzese era lavorato a mano e senza l’uso di calchi. Fra le figure più ricorrenti vi era il rusciguolo, lavorato al tornio e decorato con una colombina accovacciata.
Come dappertutto, le tradizioni sono mantenute vive dalle pratiche religiose. In Abruzzo, quella dei fischietti era legata a quei santi che l'iconografia vuole dotati di fischietto, com'era proprio la Santa Reparata di Atri. È una curiosità, questa, che potrebbe forse spiegare il motivo per per cui, in Molise, la tradizione dei f’sc-carell si sia affermata e tramandata in particolare a Monacilioni. Il fatto poi che i fischietti di Monacilioni siano realizzati con la canna sembra essere un fatto più unico che raro.

Esemplari di fischietti pugliesi, anch'essi in terracotta

Come in Abruzzo, anche in Puglia – in particolare nelle zone di Grottaglie e Rutigliano dove è abbondante l’argilla rossa – i fischietti sono realizzati in terracotta. Qui la tradizione è ancora molto forte e, oltre a un museo che ospita circa 700 antichi esemplari, i fischietti sono venduti ancora oggi in tanti negozietti per i turisti, ma anche per gli amatori del genere. Ogni anno, prima del carnevale, si organizza la Fiera del Fischietto in terracotta per promuovere l’impegno e la bravura degli artigiani locali, un colorato preludio alla festa imminente.
Un tempo gli artigiani pugliesi si dedicavano alla creazione di vasi, tegole, recipienti e oggetti di grandi dimensioni, ma con il passare del tempo iniziarono a dare importanza anche a questi piccoli giocattoli sonori ideati per divertire i bambini, ma oggi divenuti anche oggetti da collezione, souvenir, portafortuna e, in alcuni casi, veri e propri complementi d’arredo.
Il fischietto più antico risale al XVI secolo e raffigura un galletto, simbolo di fertilità e virilità: si donava agli sposi come simbolo di buon auspicio. L’argilla rossa, inoltre, unisce la cultura pagana (richiamando la madre terra intesa come natura) a quella cristiana perché ricordava che secondo la Bibbia l’uomo fu creato dalla terra.

Fischietti della tradizione russa

Per aggiungere una curiosità, possiamo dire che perfino in Russia, anticamente, i fischietti entrarono a far parte della cultura popolare, usati per scacciare gli spiriti maligni e non necessariamente in occasione di feste religiose. Nella foto abbiamo un esempio che rafigura due cavallucci.
Tornando al nostro Molise e alle nostre tradizioni del Natale, ci piace ricordare alcuni eventi di origini centenarie tra i tanti che si svolgono in altri paesi a noi vicini e che ogni anno attirano visitatori da tutta Italia. Tra questi ci sono sicuramente la Ndocciata di Agnone, la Faglia di Oratino e le Maitunate di Gambatesa.
La Ndocciata si svolge il 24 dicembre, ma da qualche anno anche l'8 dicembre. Con l'arrivo della sera, centinaia di portatori di tutte le età accendono le 'ndocce per incamminarsi lungo il corso principale del paese che diventa così un gigantesco fiume di fuoco, per accendere un grande falò in piazza. Le 'ndocce sono realizzate con legno di abete e fasci di ginestre secche.
La Faglia si svolge sempre la sera della vigilia di Natale. A differenza della Ndocciata nella quale le fiaccole sono numerose, qui si realizza un unico grande cero fatto di canne secche ed alto circa 13 metri che viene trasportato a spalle da 40 persone dall'ingresso del paese fino alla Chiesa Madre, dove viene incendiato dinanzi alla folla.
Infine, mentre in tutto il mondo per fare gli auguri di buon anno si ricorre alle telefonate o ai messaggini, a Gambatesa non si mandano, ma si portano a casa con le maitunate, cioè con canti improvvisati e personalizzati che fanno ironia sul destinatario. Gruppi di ogni età, uomini o donne, si organizzano in piccoli e divertenti complessi musicali ricchi di variegati strumenti ed escono per le strade del paese cantando porta per porta gli “sfottò” ai compaesani.
Alcune tradizioni resistono e altre no. I tempi, le persone e le situazioni le cambiano o le trasformano. A Monacilioni, purtroppo, quella dei f’sc-carell si è un po’ persa, mentre quella delle maitunate sembra talora riaffiorare grazie allo spirito giocoso e all’iniziativa di alcuni gruppi di ragazzi…
Che dire? C’è da augurarsi che non scompaiano e, anzi, ritrovino nuovo vigore perché costituiscono sempre un bel modo, il tramite per rimanere agganciati o riscoprire il percorso e l’esperienza della comunità che ci hanno condotti fino a qui, fino a oggi.

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Monacilioni sul catalogo "online" dei Beni Culturali del Ministero della Cultura

l’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione), emanazione del Ministero della Cultura, ha annunciato già nel marzo del 2021 il completamento del nuovo sistema di catalogazione generale dei beni culturali italiani, un pregevole strumento pensato e realizzato con l’obiettivo di dare impulso alla piena fruizione in rete e alla valorizzazione delle risorse italiane storiche e di interesse culturale.
Nel catalogo, i dati sono accessibili attraverso ricerche mirate per autore o per luogo. Ciascun elemento è corredato da informazioni di contesto; in qualche caso, gli elementi richiamano altre informazioni presenti in Internet che ne consentono l’approfondimento.
Il nostro compaesano Pino Pannitto ci ha segnalato il sito e, in particolare, la selezione degli elementi situati nell’area del nostro paese.
Vogliamo ringraziare calorosamente Pino per il prezioso regalo che ci ha fatto e desideriamo condividerlo con tutti coloro che ci seguono.
“Cliccate” sul collegamento qui sotto per aprire la pagina del sito del Ministero con la selezione dei beni di interesse culturale situati nell'area di Monacilioni:

https://catalogo.beniculturali.it/search/City/monacilioni?startPage=12&paging=true&

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A'POSC'TL (i FRATèLL), cioè GLI APOSTOLI (I FRATELLI)

La sera dello scorso giovedi santo, dopo la cerimonia liturgica della Messa con la "lavanda dei piedi", si è svolta la tradizionale "Cena degli Apostoli". Molti sanno bene di cosa parliamo, ma probabilmente i più giovani dei Mac'liunar che vivono fuori no.
Le tredici persone che in Chiesa rappresentano Gesù e gli Apostoli si recano , dopo una breve processione durante la quale cantano il "Perdono Mio Dio", presso la casa della Famiglia Goffredo nella quale è pronta una tavola imbandita...
Abbiamo appreso che dal 1927 esiste questa bella tradizione: la signora Giovannina Martino (MAIUNN') fece da mangiare al piano terra per gli "Apostoli" e al piano di sotto per i poveri.
La "devozione" fu continuata poi dal figlio Michele Goffredo e dalla moglie di questi Benedetta Socci (Tuccia P'LILL'). Ai giorni nostri la figlia di quesi ultimi, Giuseppina Goffredo mette ancora a disposizione la casa e nel corso degli anni molte persone si sono avvicendate nella offerta e nella preparazione delle singole pietanze.
Ci è stato riferito anche che per qualche tempo, intorno agli inizi degli anni '60, la cena si tenne presso la casa di Michele Clemente (VARDARO) e della moglie Nicolina DI Ielsi, in via San Paolo.
Nonostante alcuni cambiamenti nelle portate, ci sono ancora tanti piatti da gustare: quest'anno sono stati serviti Peperoni e alici, fagioli, verdura (tann d' rap'), spaghetti con il tonno, baccalà con piselli, pesce con insalata, bocconcini, maccheroni con la mollica, riso col latte, frutta, brioche, vino bianco e rosso.
In dialetto, ancora oggi, vengono chiamati "I Fratèll" e probabilmente ciò deriva dalla loro appartenenza a qualche Congregazione . Vestono con una "cotta" bianca, cinta da un cordone e hanno una fascia rossa diagonale che va dalla spalla destra al fianco sinistro. Molti anni fa, la sera del giovedì, indossavano abiti molto colorati che però sono andati perduti: magari qualcuno ha delle foto e sarebbe bello se potessimo pubblicarle. Il venerdì santo invece la fascia si indossa dal lato di colore nero, per la Morte di Gesù.
Alcune particolarità: chi impersonava Gesù portava una corona di ferro in testa, mentre "San Pietro" aveva legate al cordone due chiavi di legno. Prima di iniziare a mangiare veniva benedetto il cibo e "Gesù" diceva "Sia lodato Gesù Cristo" per dare il via (gli altri rispondevano "Sempre sia lodato"). Anche prima di bere ognuno doveva dire "Sia lodato ecc" e gli altri dovevano rispondere. Alla fine di ogni pietanza "Gesù" ripete la frase e si ritirano i piatti. Ancora adesso queste formulazioni vengono ripetute e si leggono brani del Vangelo durante la consumazione dei cibi.
Dal dopoguerra e fino a qualche anno fa, un antipasto era "l'insalata d'arancia", cioè fette di arancia tagliate orizzontalmente e condite con olio di oliva. A quanto pare 5 figli di una famiglia di Nocera Inferiore furono ospitati a Monacilioni dalla famiglia Goffredo, aiutati con viveri offerti anche da altre persone, rimanendo per due anni nel nostro paese. Il loro cognome era Gambardella e tornati nella loro cittadina ogni anno inviavano per ferrovia le arance che venivano ritirate alla stazione ferroviaria di Campolieto.
Insomma, una bella tradizione che per il momento sopravvive...

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Istorica descrizione del Regno di Napoli...

Qui sotto vedete la copertina della prima edizione del 1795.
In essa l'autore scrive che a Monacilioni l'aria è buona e che vi sono 2.370 abitanti.
L'edizione successiva è del 1823 e l'autore in una parte del libro scrive che le notizie riportate sono più accurate e precise rispetto alla precedente: di Monacilioni dice che è "di aria mala" e che vi sono 1.269 abitanti. Chissà se aveva sbagliato prima o dopo...
Una curiosità: ecco perchè in dialetto i granoni si dicono "RANDIN'IJ": a quell'epoca si chiamavano "GRANIDINDIA".
(per ingrandire le immagini, cliccare sopra)

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Un garibaldino di Monacilioni

Nel Cimitero di Monacilioni, quasi alla fine del lato sinistro, c'è una lapide di marmo bianco sulla quale è incisa una lunga scritta...
Desta una certa curiosità il fatto che in essa, tra l'altro, sia riportata la frase "(...) seguace dell'invitto Eroe di Caprera (...)".
In effetti Michele Massa, la persona ivi seppellita, era stato proprio un Garibaldino.
Da una Rivista Storica del Sannio del 1908 gentilmente fatta pervenire da Mario Giuseppe Martino,  si rileva quanto riportato a fianco.

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La pietra rubata

Qualche tempo fa ho letto un articolo nel quale veniva spiegato che era consuetudine (o forse obbligo) inserire una figura di fascio littorio in ogni opera realizzata nel periodo mussoliniano.
Mi è venuta in mente la pietra scolpita posta nel muraglione alla fine di via Roma, sulla destra arrivando da "Mmez u' Chian".  Non so se l'avete presente.
Niente di particolarmente rilevante dal punto di vista artistico, per carità: fatta con una delle pietre della cava di contrada "Zaccas , con le tipiche sfumature rosa come se ne trovano molte altre sulle case mac'liunar.
Per la verità non avevo fatto mai caso a queste pietre e a queste sfumature fino a che non me lo disse uno scalpellino di Sant'Elia a Pianisi: provate a guardare, se ne avete voglia e possibilità, quante case a Monacilioni sono fatte con quel tipo di pietra.
Dicevo del muraglione: ebbene lo scorso anno, o poco più, anche questo piccolo reperto storico locale è stato rubato, tanto per cambiare...
Sarà ora ad abbellire qualche villa di nostalgici o sarà stato venduto a qualcuno per pochi euro e con i rischi penali che una tale azione comporta a chi ha commesso il fatto e a chi, eventualmente, ha comprato il manufatto.
Non avendo una foto disponibile, ho chiesto in giro e, finalmente, è arrivata: Antonio Pellinacci me l'ha inviata da Lucca e lo ringrazio molto.
La pubblichiamo sia per far vedere a molti come era (e ci serve anche per datare - per quanto detto all'inizio - il muraglione), sia per contrastare l'attività dei ladri che, purtroppo, anche recentemente non è mancata nel nostro piccolo paese.
Sarebbe bello se qualcuno potesse vederla da qualche parte e segnalarla a chi di dovere.
Mai dire mai...

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Strade antiche e moderne...

Saverio Di Cera, dagli Stati Uniti, ci invita a pubblicare i nomi delle strade della zona di Monacilioni che purtroppo non esiste più, quella “da’ bbell’ pu’ coll’” e, in aggiunta, quante sono le vie che attualmente si affacciano (o quasi) Mmez u Chian’.

La sua mail:
Su La Memoria di Monacilioni si potrebbe anche mettere il nome delle strade del paese che non ci sono’ più, che credo siano: via San Paolo, via Colle, via Fontana Terra, via Calata Vattuta, via Muraglione, via Viste L’oste, quest’ultima credo non sia tanto conosciuta.
Come pure sarebbe interessante chiedere: quante sono le strade che sboccano su Largo Piano: via Mazzini (du’ Scinn’), via Italo Balbo, vico I San Rocco, via San Rocco, corso Umberto I (scendendo dalla vecchia chiesa), via Roma, via Marconi, via Vignale, viale Fago (a’ via Nov’), corso Umberto I ( scendendo dalla cabina elettrica), largo S. Reparata (dietro la Cappella).

Ringraziamo per il suggerimento e pubblichiamo.
Se altre persone ricordano nomi di strade della zona antica invitiamo a segnalarcele. Sarebbe bello cercare di ricostruire idealmente quell’intera toponomastica.
Intanto permetteteci tre piccole integrazioni:
• Via Viste l’Oste effettivamente esisteva, ma molto probabilmente “Oste” è una derivazione dialettale modificata. In quella strada, come mi hanno riferito, non esistevano osterie o cantine ed è plausibile invece che, come trovato in un testo antico descritto in altra parte di questo sito, la parola fosse “Ostro” che è il nome del vento che spira a sud. Bell’ pu’ Coll era proprio la zona perfettamente a sud di Monacilioni;
• La stradina che passa dietro la Cappella è vico Santa Reparata;
• Mmez u Chian’ era invece diviso in due parti: largo San Rocco nella zona antistante l’attuale villetta dei Caduti (proprio nella villa, allora inesistente, c’era la Cappella di San Rocco), e Largo Santa Reparata, che era invece la parte rimanente dell’attuale piazza, quella della fiancata della Cappella omonima, che grosso modo copre il tratto di Corso Umberto che attraversa Mmez u Chian’.

Infine, integriamo queste considerazioni sull’antica toponomastica del nostro Paese con un contributo che ci ha gentilmente inviato Pino Pannitto:

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La mappa del nostro tesoro...

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E' la metà di una cartina stradale del Molise.
Non è datata, ma per vari particolari in essa contenuti va fatta risalire al periodo tra il 1930 e il 1940, quando eravamo ancora con l'Abruzzo e solo Campobasso era provincia.
Si può notare che Monacilioni era collegato tramite una strada provinciale a Campolieto e che non esisteva nè la strada per Toro, nè quella per Sant'Elia.
Quindi, anche questo altro piccolo tassello serve a darci precisi riferimenti storici-temporali per il nostro paese.

Sotto, il dettaglio.

P.S. - Mi ha detto Nicola Pizzuto (Còl D' BBett ) che il collegamento viario tra Monacilioni e Campolieto fu fatto nel 1921 e lui lo ricorda perchè suo Padre andava alla stazione ferroviaria col carretto (ù  traìn ...)

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Strada provinciale: una curiosità storica...

Commentando brevemente la cartina del Molise, avevo annotato che Nicola Pizzuto (Còl D' BBett ) mi aveva detto che il collegamento viario tra Monacilioni e Campolieto era stato fatto nel 1921, e lui lo ricorda perchè suo padre andava alla stazione ferroviaria col carretto (ù traìn...).
In un documento che ho visionato poco tempo fa ho trovato che:
“(...) alla vigilia della Grande Guerra il territorio molisano aveva sviluppato complessivamente una rete stradale di circa 1.392,189 km, di cui 399,136 km di strade nazionali e 993,50 di provinciali, con una media di m.313 per chilometro quadrato. Restavano, tuttavia, ancora isolati i comuni di Concasale, Castelverrino, Monacilioni, Montemitro, Roccavivara, S. Polo Matese”...
Quindi, di certo durante la guerra non fecero la strada, e nemmeno subito dopo.
Insomma, un'altra piccola conferma incrociata di dati che, piano piano, ci fanno mettere una tessera in più nel nostro puzzle…

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Tre foto, un altro pezzo di Storia...

Queste due pietre sovrapposte erano "incastonate" nel muro del vecchio municipio, sito all'inizio di Corso Umberto. Per coloro che non lo ricordano può essere d'aiuto qualche foto nella quale si vede l'orologio che, appunto, si trovava sul tetto del municipio, lateralmente alla vecchia Chiesa Madre. Nella pietra superiore si nota lo stemma: il monaco ed il leone ritto sulle zampe, racchiusi in una specie di cornice frastagliata. In basso a sinistra dello stesso ci sono i numeri 1 e 5, mentre a destra (non molto leggibili nella foto) ci sono i numeri 8 e 7: in pratica una delle date "certe" più remote del nostro paesello, 1587! La pietra disposta orizzontalmente riporta una iscrizione latina  con alcune abbreviazioni come a volte si usava: non sono note sinora traduzioni certe complete.

 

Mi sono rivolto, perciò, ad un'esperta, la bravissima Alessia Guidi, (la figlia di Mena FACCELL ) , archeologa,  la quale ha analizzato la scrittura e ci ha fornito la sua versione ben argomentata.

Carissimo Enrico,
(...)
Per quanto riguarda le cifre nella parte superiore, ti confermo la lettura 1587, come prova anche la data scritta per intero alla fine del testo.

Ecco la traduzione:
I riga: Inclyte D(omi)ne Tibi = A te glorioso Signore
II riga: Populum Commendo = affido il popolo
II riga: Ins(cribo) All(igo) D(edic)o Et I(mprimo)/ I(instituo) Saepini

Per quanto riguarda quest'ultima riga, i tre verbi (quattro se consideri l'ultimo per il quale ho indicato due possibili traduzioni), hanno tutti lo stesso significato di "fissare, incidere, scrivere sopra, imprimere". Era uso, sia nel lingaggio sacreale che in quello giuridico, per esempio, ribadire un concetto usando tre sinonimi in senso rafforzativo. L'ultima parola potrebbe essere "Saepini"  cosa che indicherebbe che l'epigrafe è stata incisa a Sepino.
Infine ti segnalo che, a mio avviso, la scelta di usare "inclytus" al posto del più comune "inclitus", il tipo di "A" e l'uso dei tre verbi nella III riga sembrerebbero far pensare che il committente dell'epigrafe fosse un intellettuale o un giurista, verosimilmente del luogo (se è vero che si è avvalso di maestranze sepinati), fiero della sua cultura classica.

Per quanto riguarda la tua osservazione in merito ai motivi per cui una semplice iscrizione sia stata fatta a Sepino, che non solo è lontano ma non è mai stato storicamente "collegato" con Monacilioni, ti confesso che è sembrato strano anche a me. L'unica cosa che mi viene in mente è che il committente possa essere stato legato a Sepino in qualche modo: magari aveva dei possedimenti lì oppure nel XVI sec. lì c'erano maestranze specializzate, è difficile dirlo e purtroppo senza indicazioni sul committente si ossono solo fare ipotesi!

Ecco un'altra bella "pietra" storica di Monacilioni. Si tratta dello stemma del monaco e del leone, al centro della balaustra esterna alla vecchia Chiesa Madre. Anche in questo caso, per chi non la ricorda, è possibile visionare una delle foto poste nel sito. Nota dolente: è stata rubata, insieme a quasi tutte le altre pietre della balaustra una ventina di anni fa. Fu fatta regolare denuncia e chi la detiene rischia solo, non potendola esporre. Mi auguro che prima o poi sia ritrovata, insieme a tutte le altre opere rubate a Monacilioni.

A lato, la NEVIERA (a' n'vér), caratteristico fabbicato rotondo situato alla fine dell'attuale via Marconi.
Dalla piccola porta che si vede, si scendeva di una paio di piani interrati: in pratica in inverno si metteva molta neve all'interno e si copriva con paglia per creare una specie di effetto termico al fine di diminuire al massimo lo scioglimento.
La neve si usava nelle varie stagioni (fino a che durava...) per vari scopi: primo fra tutti, raccontano di utilizzi in campo sanitario...

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Monacilioni ai tempi della Guerra

La foto è quasi certamente del periodo bellico, quando si riunivano le folle per far ascoltare i "successi": si noti, in proposito, la radio appoggiata sul davanzale della finestra, con i due simboli del "fascio" capovolti. Inoltre, sul portone si può leggere:
                            UNIONE LAVORATORI DELL'AGRICOLTURA SEZIONE DI MONACILIONI.
Il palco sembra messo all'inizio della vecchia piazza e il numero civico è il 2, quindi dopo l'angolo del muro sulla destra ci doveva essere la parte della Chiesa Madre Antica. Per chi la ricorda, a fianco della scala che si vede in fondo, c'era quella viuzza che ad un certo punto passava letteralmente sotto le case, era veramente molto stretta e scendeva verso la strada posta più in basso, quella che dal frantoio (ù trappìt) andava in giù...

(foto gentilmente concessa da Francesco Coccaro,  SCOPACHIAZZ' )

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Monacilioni nel 1835 - Descrizione topografica di Giuseppe Del Re

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Trasferimento dell'abitato di Monacilioni

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 22 ottobre 1970, n. 1348
Inclusione   parziale  dell'abitato  di  Monacilioni  tra  quelli  da
trasferire a cura e spese dello Stato.

Vigente al: 22-5-2013 
 
                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

  Vista la legge 9 luglio 1908, n. 445;
  Visto il decreto-legge luogotenenziale 30 giugno 1918, n. 1019;
  Visto il decreto-legge luogotenenziale 13 aprile 1919, n. 568;
  Visto  il  regio  decreto 3 novembre 1921, n. 1547, con il quale fu
disposta  l'ammissione  dell'abitato  di Monacilioni, in provincia di
Campobasso  tra  quelli da consolidare a cura e spese dello Stato, ai
sensi della legge 9 luglio 1908, n. 445;
  Ritenuto  che  a  causa  della  natura  franosa del terreno si sono
verificati  dissesti  che  hanno  interessato  in particolare la zona
nord-est  del  detto  abitato,  per  cui  e'  emersa la necessita' di
procedere al parziale trasferimento dell'abitato medesimo;
  Visto  il  parere  favorevole  del  Consiglio  superiore dei lavori
pubblici n. 571, espresso nell'adunanza del 14 aprile 1970;
  Sulla  proposta  del  Ministro  Segretario  di  Stato  per i lavori
pubblici;

                              Decreta:

  A  norma  dell'art.  4  del decreto-legge luogotenenziale 13 aprile
1919,  n.  568, e' aggiunto, a tutti gli effetti della legge 9 luglio
1908,  n.  445,  titolo  IV,  agli  abitati  indicati nella tabella E
allegata  alla  legge  stessa (trasferimento di abitati minacciati da
frane)   quello   di   Monacilioni   in   provincia   di  Campobasso,
limitatamente    alla    zona    nord-est    dell'abitato   medesimo,
contrassegnata  in tinta gialla nell'annessa planimetria, vistata dal
Ministro  proponente  e che fa parte integrante del presente decreto,
fermo  restando  per  la  residua  parte dell'abitato il disposto del
regio decreto 3 novembre 1921, n. 1547.

  Il  presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserto
nella  Raccolta  ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.

  Dato a Roma, addi' 22 ottobre 1970

                               SARAGAT

                               LAURICELLA

Visto, il Guardasigilli: REALE
  Registrato alla Corte dei conti, addi' 18 febbraio 1971
  Atti del Governo, registro n. 240, foglio n. 200. - CARUSO

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Sistema Informativo sulle Catastrofi Idrogeologiche

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In America, straniero a sedici anni...

Questa è una pagina del diario di mio nonno Michele; l'ho trascritta fedelmente rispettando anche l'inizio e la fine di ogni rigo. E' una testimonianza precisa e dettagliata dello stato d'animo di chi lascia il proprio paese per l'incognito. Siamo ai primi del '900, precisamente nel 1903.
                                                                                                          Anna Maria

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saltare cent'anni in un giorno solo
dai carri dei campi agli aerei nel cielo

Luigi Tenco, 1967- Ciao amore ciao

In America, straniero a sedici anni...

…all’età di sedici anni ebbi la chiamata dal primo di mio fratello Antonio
che era emigrato tre anni prima che
sarebbe il 1900 i  miei genitori mi diedero
il consenso però per me che era
minore di età ci voleva il garante per gli s.u.a.
fissammo la partenza il 7 Dicembre
1903 la partenza era molto difficile
perché io non aveva mai viagiato ne
in treno ne in mare non conoscendo
niente era stato sempre in paese apena
una volta era staoa in città di Campobasso,
allora era piccola, e meno popolata, mi
trovava in disaggio pensando quando
sarò a Napoli, e difatto quando partimmo
e arrivammo a Napoli io era vestito di paese
con un vestito di zigrino legiero non
sapendo a quale temperatura andava
incontro non reclamava di niente un
cappello allantico che portava in testa i
scugnizzi Napolitani mi cominciarono
avenire dietro chiamandomi ogni qualità
di nomignolo beffegiandomi
non aveva mai vista i bastimenti mi acostai
vicino per curiosare, quelli scugnizzi
mi circondarono e con parolacci mi
insultavano e mi toccò di rintanarmi
nella locanda, dove il garante mi aveva
lasciato, altrimento quelli mi avrebero
provocato era solo loro in tanti,
aveva sempre la peggia e così non uscii
più finchè che imbarcammo nel
bastimento era della compagnia
Germanese, il nome era Prinz Oscar
Cominciammo a navicare la tempesta
più ingrossava chiusere tutte le saraci-
nesche e noi lì, nelle cuccetti ranni-
cchiato come conigli; la traversata fù
lunga, ci avevano promesso di ariva-
re primo del Santo Natale, invece arrivam-
mo il 28 Decembre quando sbarcammo
a New Jork fui messe separato in un gabbione
di ferro il mio garante restava a New Jork
ed io rimasto solo nel gabbione di ferro,
attendeva che mi venissero a pigliare
verso alla mezzanotta mi vennero a
pigliare dandomi un filone di pane e
un po’di salsiccia secchia, doveva bastare
da New Jork a Chicago, considera la
lunga traversata New Jork Chicago
con un filoncino di pane e un po di
salsiccia secca, fu per me una picola
colazioni impiegammo da New Jork
Chicago 2 giorni e due notti e la
fame si faceva sentire, fortunatamente
viaggiave con una famiglia Polacca,
e mi dettero un pochino di pane di spagna
fu per me stuzicare più lapetito,
e considera la mia disperazione senza
mangiare e senza dormire, pensava a
quale sciagura mi aspettava, giungem-
mo alla stazione di South Chicago,
dove mio Fratello stava lui non
sapeva niente poiché ci avevano
promesse che arivevamo per il S. Natale
invece era il giorno 28 che io scese
alla stazione tutto anzioso di riabraciare
mio fratello invece con meraviglia
non lo trovai più era nevicato ed erano
più di 50 centimetri di neve, e il freddo
era a parechi gradi sotto zero, io con quel
vestitino di zigrino e con la gran fame,
che aveva, nel treno faceva calde ma
fuori erano dolori, aveva l’indizzo
su una busta la presentava ai Americani
ma lori non mi capivano e ognuno
sene andava per conto suo non davano retta ed io
continuava a fermarli con lindizzo in mano mi
indicavano con la mano dicevano,
in lingua Inglese four Block left hands
non capiva che significava alla quarta
strada alla sinistra, ma camminava
un pocho cerano pereche binari di
Ferrovia fra questo spazio che i treni
passavano molto spesso aveva una
valigia che pesava più di 40 Kg e non
voglio azardare atraversare per paura
che quelle treni mi mettessero sotto,
e tornava indietro nella strada più
frequentato di gente chiamata Commer-
cial avenue, continuava a mostrare
questo indirizzo ma tutti allostesso
modo mi facevano il segno con la
mana io per ottenero che qualcheduno
mi acompagnasse a destinazione
tirai due dollari per darcele purchè
mi acompagnasero nessuno volle
quella moneta ed io mi disperava e
nessuno si benignava ad acompagnarmi,
allora vista la mia insistenza era
vano, butta la valicia nella strada
nella neva e mi inficaio dentro una
lavandaria, credendomi americani invece
erano cinesi con le trecce lungo mi
spaventai e mi ritrassi indietro, nella
strada, era lì per cadere per terra,
svenuto ma vidde un polissman
grasso li mostrai lindirizzo e lui
come gli altri mi indico con la mana
lo stesse degli altri la strada da fare ma
io non capiva e mi aviava verso
di là ma i treni erano in continua-
zioni, ed ebbi paura ancora al ritorno
con quella Benedetta valigia un
uomo veneva verso di me e lo sentiva
pronunciare parole Italiano, furono
queste precise parole pronunciò
questo povero Giovane sarà Italiano,
allora corse subito lo afferrai al
capotto siete Italiano rispose di sì
io detto un sospiro di gioia finalmente ho trovato
chi mi comprende lui era un 
Toscano un rivenditore di frutta
mi prese la valicia e mi porto acasa sua
che era li vicino e mi dette una
grossa zuppiera di caffè col wisky,
dentro riapriva gli occhi che stava
per svenire dal freddo e della fame  lui
mi acompagnò dal mio Fretello, e
non soffrire  più, mio Fratello
aveva cucinati i rigatoni e mangiai
una buona quandità, più unapagnotta
di pane di un chilo e pure un po di
carne e circa un litro e mezzo di Birra,
e mi rimise in forza la sera mi
portò a comprare un vestito pesanto
con un berretto e un paletò e scarpe,
e non soffriva più queste e acaduto
nella mia fanciullezze e Giovanotto
di sedici anni…

dal memoriale
di Michele Arcangelo Di Cera
partito da Monacilioni  nel 1903

il passato è tempo perduto,
ma non è mai tempo cristallizzato: risorge nel momento in cui lo si ritrova vivo,
nel suo alitare che è fiato della respirazione e soffio d’anima

Marcel Proust

Straniero a sedici anni!

Dire che sembra un film è dire poco.
E’ una storia bellissima, personale e familiare quanto volete, ma che ricalca il vissuto di quasi tutte le persone del nostro paese e che va dedicata ad ogni Emigrante e ad ogni Congiunto che ha condiviso la sofferenza della lontananza e, spesso, non ha più rivisto chi era partito.
Quando leggo di situazioni legate a vicende di questo genere, non posso fare a meno di tornare a un episodio della mia seconda o terza elementare: proiettarono un film il cui titolo spiega già la trama, “Dagli Appennini alle Ande”. In quel periodo era partito per l’Argentina un amico di mio padre per raggiungere la figlia: per chi lo ricorda, era Zì Giuannin Laurenz. In lui ho sempre identificato, riassumendola, la storia dell’emigrazione, con affetto e partecipazione; storia che ha, ovviamente, toccato anche la mia famiglia (i miei genitori sono stati diversi anni in Venezuela).
Perciò, leggere il diario di questo ragazzo di sedici anni mi ha portato, senza rendermene conto, ad immaginare man mano le scene che ha saputo descrivere con una maestria incomparabile.
Appena finita la lettura  un flash: una ventina di anni fa, Mmez ù Chian, avevo sentito da Luigi Mezzacappa (sì, proprio il Gigi di questo sito) di “Ellis Island”, pagine internet che raccoglievano gli archivi di milioni di persone entrate attraverso quella porta di frontiera negli Stati Uniti e mi ero iscritto facendo ricerche per il mio bisnonno materno e per diversi mac’liunar.
Non avevo bisogno della conferma di quanto scritto nel diario, volevo solo – se ne avessi trovate – dare qualche notizia in più ad Annamaria Di Cera, nipote del protagonista Michele Arcangelo, quasi per ricambiare la cortesia di averci dato quel prezioso, intimo contributo da pubblicare.
Dopo un paio d’ore di inutili tentativi ho rinunciato. Ricerche con il cognome, con i due nomi insieme e separatamente, con il nome del paese, con le sole iniziali: sempre zero. Plausibile, visto che molto spesso quella documentazione ha dei buchi, la grafia riportata è poco leggibile, ecc. ecc. .
Ad un certo punto mi è venuta voglia di rileggere da capo la lettera , troppo precisa e dettagliata per non meritare altra attenzione dal punto di vista anche storico-locale, oltre che emotivo, come sopra detto.
Il “bastimento era della compagnia Germanese, il nome era Prinz Oscar“: avevo pensato fosse il cognome del proprietario italiano della nave che partiva, come tante altre, da Napoli. E se, invece, voleva dire “Tedesca”?
Sono ripartito e… la nave era proprio tedesca, la Prinz Oskar, appunto, partita esattamente il giorno 7 dicembre 1903 con 428 passeggeri a bordo.
di Cera Michele (con la “d” minuscola e senza il secondo nome) era il passeggero n. 128, di sedici anni, da Monacilioni, Campobasso.
Sul documento di sbarco, avvenuto il successivo 26 dicembre (forse nella lettera il 28 è dovuto ad altri motivi), è il numero 30 del foglio 60, lista C e sono riportate altre notizie:
contadino, capace di leggere e scrivere, del sud Italia, con il biglietto della nave pagato, mai stato prima in Usa, in possesso di ben 18 dollari, senza biglietto per la destinazione finale che era Chicago, dal fratello Antonio in “9427 Commercial Av.”.
Non poligamo, non anarchico, mai stato in prigione, in buona salute.

Tutte le domande che venivano fatte a coloro che sbarcavano.
i miei genitori mi diedero il consenso però per me che era minore di età ci voleva il garante” , aveva scritto ancora nelle sue annotazioni: il passeggero immediatamente prima di lui era Antonio Zeuli , di anni 22, diretto a New York, con 14 dollari, dall’amico “Ciccio (?) Pasquale”, in 15 Spring. St.
Unico altro Mac’liunar sul bastimento: ecco chi era il garante e perché dopo New York il ragazzo aveva viaggiato da solo!

Enrico Martino

 

Di seguito, la documentazione estratta dai "data base" del sito di Ellis Island

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La storia di un compaesano durante la guerra

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo inviato da Giuseppe ABIUSO (Pino da L'vatric'), Argentina:

Quilmes 06/Aprile/2013
Da tanto  tempo avevo in testa di fare un regalo a Luigi Giarrusso, da quando era ancora in vita. Purtroppo ha intrapreso il viaggio per l'eternita già nel 2002, al compiere dei suoi 83 anni, ma oggi credo di essere riuscito, in tutta modestia, finalmente a concretizzarlo.
Luigi Giarrusso, sposato con Rosa Quadrizzi, sorella di Suor Celestina. A Monacilioni, oggi, vivono due sorelle: Nina e Carmelina; un fratello, inoltre, vive in Venezuela.
Luigi, al compiere dei suoi 20 anni nel 1939, fu chiamato alle armi e partì per la guerra che si concluse nel 1945. Fu fatto prigioniero nel 1940-41 e inviato in un campo di concentramento in India, a Bangalore. Non ricordo di preciso in che anno - potrebbe essere il 1944 - Luigi fu trasferito in Inghilterra, sempre come prigioniero di guerra. Terminata la guerra, finalmente, poté ritornare in Italia al suo amato paese Monacilioni e ricongiungersi alla famiglia.
Durante la prigionia riuscì a comporre lavori in ricamo su tela che qualcuno magari ricorda: si chiamavano "pezze da piedi" ed erano usate dai soldati italiani per avvolgere i piedi e calzare gli scarponi al posto delle calzette che non venivano distribuite insieme alle divise.
Il ricamo si realizzava su queste "pezze" con fili di cotone di differenti colori, spesso recuperati attraverso sotterfugi e grazie alla sua abilità di artigiano.
Il cotone - ce ne voleva tanto! - lo comprava con i suoi risparmi, ma in gran parte vendendo la sua razione di sigarette.
Per quanto venni a sapere  direttamente da lui in virtù della nostra grande amicizia, ricamò sei o sette "pezze". Ritornato in Italia, le inquadrò su tavolette di legno. Purtroppo, ho potuto recuperare solo quattro tavolette che potete vedere in fotografia.
Le fotografie sono state scattate con una macchina fotografica di qualità da uno specialista. E' opportuno guardarle ingrandendole con lo zoom
(basta "cliccare" sulla lente di ingrandimento)  per poterne apprezzare il lavoro e l'arte in ogni dettaglio e colore.
La misura delle tele lavorate è approssimativamente di 34 centimetri per 25. Le fotografie sono originali del tempo, non sono state ritoccate e sono riconoscibili anche le macchie di ossido che ne testimoniano gli anni (1941-1943).

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Omaggio a Don Mimì.

Iniziare la sezione di questo sito denominata "STORIA" con un mio personale ricordo di Don Mimì, mi è parso il modo migliore per rendere omaggio ad un Uomo al quale tutti dobbiamo molto e che ha fatto, appunto, "la Storia" di Monacilioni per tanti, lunghi anni. Sicuramente ci saranno altri scritti, altri articoli, altri componimenti per ricordare il nostro Parroco, ma - con il permesso dei due Amici cofondatori - mi piace inserire una lettera a Lui dedicata in occasione del 50° di Prima Messa e cioè il 7 agosto 1996. (L'Arciprete celebrò a Pietracatella, paese natale, nel 1946 la Prima Messa Solenne il giorno di San Donato, al quale era molto devoto, ). Apprezzatissimo, perciò, è stato il significativo gesto del nuovo parroco, Don Philippe, che nel pomeriggio del giorno della morte di Don Mimì ha celebrato la Messa di suffragio proprio sull'altare di San Donato, il primo nella nostra Chiesa entrando sulla sinistra).

     << Monacilioni, 7 agosto 1996.
      Più o meno venticinque anni fa, l'Arciprete mi regalò un piccolo libro, "A te Chierichetto", che rappresentò per me un grande riconoscimento e mi riempì di gioia per la considerazione così manifestata.
Il titolo, evidentemente mai dimenticato, mi riporta a tutta l'infanzia, a quando - in età prescolare - servivo solo la Messa, al banchetto sotto ai piedi per la prima mia Lettura, ai suggerimenti delle fedeli dai primi banchi, al resto...
      Intorno a questo mio mondo: Don Mimì! Consigli di fede, di morale, di dotta letteratura, di saggezza... di vita. Per farci crescere, per farmi crescere. Figura sempre presente, su cui fare affidamento in ogni momento; silente e discreto per natura; punto di riferimento incredibilmente esemplare.
      Tanto Don Mimì era, ed è, immutabile (o quasi) da non accorgermi che anche per l'Arciprete passava il tempo, sì da arrivare al 50° di Prima Messa Solenne: eppure a fianco, sull'Altare, era il mio metro, seppur involontario.
      Però, quanto tempo è passato. Arciprè, quanti altri bei ricordi: dal "Cristo Regni" (che oggi insegno a mio figlio), alle "parabole" scolastiche....
Sia pur non in presenza, sono così commosso da non riuscire a coordinare i tanti pensieri.
Auguri, Don Mimì, dal più profondo del cuore. E con tanto affetto da non saperlo neppure manifestare.
Auguri... "A Te, Sacerdote".
                                                                                                                                           Enrico Martino >>

Questa la mia lettera di allora. La ripropongo ora, in questo contesto, senza nessuna - credetemi, nessuna - intenzione egocentrica, dedicandola a tutti Coloro che avrebbero voluto esprimerGli lo stesso affetto e che, magari, per la sola ragione di essere lontani, non hanno potuto.

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Don Mimì con i suoi ragazzi

  • Prima Comunione di Sara Iosue, 2012
  • Prima Comunione di Giuseppe Di Renzo, 2012
  • Foto ricordo con Don Mimi', 2012
  • Don Mimi' con alcuni alunni , 2001/02

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Una lettera del 1843...

Questa lettera, acquistata alcuni anni fa in Emilia Romagna, è stata inviata da Pino Pannitto, il figlio di Enrico (R'cu'ccèll Pinott ) scomparso non molto tempo fa.
Evidentemente, il padre ha trasmesso al figlio il grande attaccamento per Monacilioni e, come spesso succede, pur non potendo tornare con la frequenza che magari si desidera, resta sempre nell'animo il ricordo dolce-amaro delle radici...
Non conosciamo le motivazioni della presenza dell'autore della lettera e se qualcuno ha altre notizie ad essa collegabili, potremo comporre una specie di puzzle 170 anni dopo...

Inoltre, in  "Fotografie" pubblichiamo i quattro fratelli Mmez ù Chian, in una foto inviataci dagli Usa da Anthony Iosue.

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Ecco la trascrizione:

A sua eccellenza Signor D. Salvatore Barbieri Larino

Gentilissimo Amico
La perizia per cui sto impegnato qui non l ho potuta disimpegnare intra il termine da me prefissomi , percio' non ho potuto corrispondere ai suoi grati comandi, e ne sono dispiaciuto, poiche' era la prima volta che da voi mi si impartiva un tale onore.
Intanto se l'operazione non si e' fatta, e se voi amate di avvalervi della mia opera, potrei ancora servirvi.
Per sua norma percio' vi dichiaro che io rimarrei qui per tutto il 12 andante, e quindi mi restituiro' in patria.Abito qui in casa di una tal Sig.ra Colomba di Lucia
Bacio la mano al sig. Giudice
Vi abbraccio, e con i sentimenti di vera e sincera stima mi segno

Monacilioni 6 Dicembre 1843

Suo affetuoso amico sincero
Nicola Ciaravano

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Centenario Società Cattolica Santa Benedetta Martire

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Distintivo dei Soci della Società Santa Benedetta Martire di Monacilioni
Provincia di Campobasso (oro e ceramica
)

fondata nel 1906 in CHICAGO (USA)

Nel 2009 , in occasione della  ricorrenza del centenario della fondazione della Società Cattolica Santa Benedetta Martire, si è tenuto un convegno al quale sono stato  invitato quale relatore per la parte storica locale.
Al riguardo ho preparato, all’epoca,  una ricerca partendo da spunti o notizie del passato della nostra terra, tratti da tutto quello che mi è capitato nel tempo tra le mani: libri, foto, giornali d’epoca, registri della Società, internet, ecc., purché documentati.
Per inquadrare il passato di Monacilioni sono partito  da due cartine:
   - nella prima (redatta intorno al 1590  ) vi era  indicato  “Monaceleone”, con 152 fuochi (nel senso di famiglie);
   - nella seconda,  redatta nel 1635, oltre a Monacilioni era  riportato “Catello” (l’antico insediamento dal quale sarebbero poi sorti il nostro paese e Pietracatella).
(Per inciso, questo riferimento a Catello è molto importante, poiché i dati storici ad esso collegati sono molto pochi e trovarlo già nel 1600 ci permette una “base” quale datazione dell’esistenza).
Secondo quanto indicato nel libro del Masciotta, uno studioso molisano, nel 1595 i fuochi erano 151: come si può ben vedere, quindi,  i dati, sia pure di diversa origine, sono allineati tra loro.
Della storia locale  abbiamo ad oggi tre pubblicazioni:
   - quella di Modestino De Martinis del 1952;
   - quella di Don Mimì del 1997;
   - quella di Franco Naimo (postuma, curata da Carmine Antonio Mezzacappa nel 2007).
Bella e appassionante  è la lettura di tutte e tre le opere che, pur nella successione cronologica,  si distinguono per inedite notizie, oppure si integrano vicendevolmente nel riportarle.
Da tutte, comunque,  traspare l’amore incredibile degli Autori per la nostra Terra e il legame con Santa Benedetta Martire.
Sia don Mimì (nella premessa a pagina 11), che il curatore del libro di Franco (pagina 20) invitano altri ad ulteriori ricerche, pur ammonendo che “la storia non ammette alterazioni e cambiamenti arbitrari” (C.A. Mezzacappa, introduzione, pagina 17).
Accettando l’invito, senza la presunzione di avere verità inconfutabili, mi sono permesso una osservazione pertinente con la  tematica del convegno, relativa cioè a Santa Benedetta.
Quale fu l’anno del Martirio?
De Martinis cita solo giorno e mese (4 gennaio, che non sono in discussione);  per don Mimì il 352; per Franco Naimo  e C.A. Mezzacappa il 371.
Il 352 potrebbe essere stato indicato per un lapsus, come dice il professor Mezzacappa, nel senso di una possibile omissione di un “dieci romano” “X” , ma il 371 viene indicato in base “alle indicazioni pervenute per Tradizione (pag.47, nota 2), contraddicendo però quanto sopra ricordato sulla inalterabilità della Storia.
Franco stesso, peraltro, nel 1986, indicava il 362 .
Ma se è vero che il Martirologio Romano riporta solo giorno e mese e non l’anno, è anche vero che l’Acta Sanctorum  indica il 4 gennaio 362 quale data del Martirio di Prisco, Benedicta e Priscilliano.
Di più: alle pagine 245 e 246 proprio Mezzacappa (la stampa dell’allegato  è dell’ 8.9.2007 e quindi Franco non c’era più) riporta copia del Martirologio e, riquadrato, evidenzia che detti Santi subirono il Martirio al tempo dell’empissimo Giuliano (e ciò pure  non è in discussione).
Poiché, quindi, (si veda ad esempio l’enciclopedia Treccani) Giuliano l’Apostata regnò dal novembre del 361 per soli 20 mesi e morì a fine giugno del 363 in Persia,   la data del 362 è molto probabile.
Ovviamente non è una certezza, ma secondo quanto sopra, penso ci siano molti, convergenti indicatori.
In ogni caso,  non è la data che aumenta o sminuisce la nostra fede in Santa Benedetta, ma quanto rappresentato vuole essere solo un ulteriore contributo alla nostra piccola, (per noi grande…) storia locale, senza polemiche con gli Autori citati, semmai con l’intento di pubblicizzare ancor più le loro opere.
Nel 2008, inoltre,   avevamo  avuto notizia che in una parrocchia in Brindisi vi sono Reliquie di Santa Benedetta.
La Chiesa ricorda due Sante con tale nome: Una è la Nostra, l’Altra è Santa Benedetta vissuta nel 500 d.C., festeggiata il 6 maggio, non Martire.
Sulla Reliquia è scritto “Mart.” (Martire) e in un verbale redatto in occasione di una visita di un Vescovo è precisato che si tratta di Santa Benedetta ricordata il 4 gennaio.
Dovremmo capire di che anno è il verbale e se qualche Sacerdote o Vescovo, rispettivamente da Monacilioni o Benevento, sia stato poi inviato a Brindisi: potrebbe essere una spiegazione ulteriore su tale conservazione.
Ho contattato  il Rettore di quella parrocchia ma non sono riuscito ad avere altre notizie.
In conclusione, quindi,  non possiamo dire con certezza che è una Reliquia della nostra Santa, ma non possiamo nemmeno dire il contrario.
E veniamo ora alla Società.
Sappiamo che la prima Società Cattolica intitolata a Santa Benedetta  fu fondata a Chicago (negli Stati Uniti d’America) nel 1906 e di ciò abbiamo due reperti storici originali: uno statuto   e un bottone in oro e ceramica con la scritta tutta puntata, quest’ultimo appartenuto a Lariccia  Giovanni, nonno di mia Madre.
Questo bottone era il distintivo di ogni Socio, secondo quanto previsto dallo Statuto.
Successivamente, nel 1909, esattamente il 2 maggio, come riportato dai verbali, fu fondata la Società in Monacilioni.
I Soci erano numerosi ed  ognuno versò UNA lira.
All’epoca i monacilionari erano quasi 2400 secondo i dati del censimento ufficiale e,  considerando che probabilmente solo i capifamiglia erano iscritti, possiamo presumere che gran parte del Paese faceva parte della Società.
Una precisazione: era prevista – secondo l’usanza del tempo – soltanto l’ammissione dei maschi (e  da una certa età in su)  e  solo molti anni dopo fu stabilita anche la possibile partecipazione delle donne: ora, però, l’iscrizione viene fatta indistintamente, prescindendo dal sesso e dall’età.

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La documentazione che ho potuto consultare consta  di tre registri (riportanti i verbali delle riunioni e i dati relativi al numero ed ai pagamenti delle quote dei soci) e di due faldoni contenenti atti miscellanei.
Dallo studio di essa è stato davvero bello ricavare – oltre a dati e fatti diretti del sodalizio -  notizie, usanze, costumi ed altro, come dirò in seguito.
Dal punto di vista cronologico vi sono atti anche di data anteriore a quella della fondazione: c’è una scrittura privata del 1887  concernente la dote che una promessa sposa Angela Di Cera riceve dai genitori. Non è chiaro il motivo di tale conservazione tra le carte della Società; un foglietto datato 1888 con la descrizione di alcuni oggetti d’oro e l’indicazione del valore (50 lire). Non è specificato se sono stati venduti o altro.
C’è poi un contratto del 1909 per la banda di Colli al Volturno stipulato da Nicola Pannitto per la festività dell’Assunta, del Carmine e di San Rocco del 24, 25 e 26 agosto dello stesso anno (costo: 350 lire, più 15 per il Maestro, più vitto e alloggio per tre giorni e trasporto dalla stazione).
Molto interessante,  inoltre, un quaderno riportante in maniera dettagliata la festa di Santa Benedetta del 1908 cadente , proprio come nel 2009, il 17 maggio.
Da notare che, pur non essendo ancora stata creata la Società (era l’anno prima),  la festa era stata veramente grandiosa. La questua si svolgeva in più occasioni  e risulta  evidente il contatto con gli Emigrati poiché le rimesse estere furono di lire 829,40 e corrispondevano quasi ai due terzi delle entrate totali.
Il comune partecipò con 85 lire e tra contanti e offerte in natura, poi vendute, in paese furono raccolte 444 lire (un tomolo di granoni valeva 9,35 lire, un mezzetto lire 4,20 ;  un mezzetto di grano  lire 6,40 circa;  due “ventane” di uova lire 2,30;un mezzetto di avena 2,10 lire).
Leggendo tra le uscite viene fuori uno spaccato del tempo:
   - spese per le “vetture” (cioè gli animali, come si sente ancora dire  nel bel dialetto  dei nostri cari Anziani) che si recavano alla stazione a prendere la banda;
   - spese per la paglia per i musicanti (sulla quale evidentemente dormivano) e per il solo maestro anche il letto;
   - per la lavandaia;
   - per la conserva, i finocchi, per i pasti;
   - per il caffè;
   - per i “cirogini”, cioè per le candele;
   - per chi trasportava l’acqua dalle fontane.
Furono stampate anche “1000 figurine con le canzoncine”.
I fuochi d’artificio non mancavano nemmeno allora: "Fuoco di giorno e di sera, più batterie da 10 bombette", per una spesa totale di quasi 200 lire, su 1326,45 di uscite.
Una curiosità: rimase un attivo di 31,95 lire.
Il 4 gennaio ci fu solo la festa religiosa, con panegirico e 28 lire di fuochi d’artificio (più o meno le 10 bombette della festa grande).
Altri dati rilevabili dai documenti conservati:
   - Nel 1920 i soci erano saliti a 196 su una popolazione di quasi 2000 abitanti;
   - 95 nel 1935 (3 lire l’iscrizione) e in quell’anno fu fatta una nuova bandiera;
   - In un rendiconto del 1936 si fa riferimento ad una spesa per il consumo della luce elettrica in Chiesa ed è un punto per stabilire quando la corrente è arrivata a Monacilioni.
Nel 1939  fu costruita la cassa armonico: il palco in legno che molti ricordano, usato anche “Mez ‘ u Chian” con molte aggiunte e “zeppe” per metterlo a livello.
Il 27 giugno 1943 veniva annunciato il rientro “nella Sua Cappella, alla Chiesa Madre, già restaurata,” del “Santo Corpo della Protettrice” dalla Cappella di “S.Liberata”.
Nel 1948 fu istituita una commissione per installare un orologio sul “nostro magnifico Tempio” “affinché il nostro caro e ridente paesello sia sempre mai secondo agli altri” : non fu però collocato, forse per mancanza di fondi o forse perché la frana – che portò poi alla demolizione della Chiesa– non permise tale realizzazione.
Ci sono anche due manifesti/rendiconti del 1956  e del 1965 e in essi è evidenziata la difficoltà e la ripresa economica del dopoguerra: nel primo l’introito estero è 4 volte quello del paese, mentre nel secondo le entrate locali superano l’estero.
Poi,  nel 1957 i soci furono invitati all’inaugurazione del monumento ai Caduti , il 27 giugno, in Largo Piano.
Ancora: nel 1963 e nel 1964 risulta che non vi furono festeggiamenti (tranne funzioni religiose e fuochi d’artificio) e fu ripavimentata la Cappella di Santa Reparata. ( Un altro inciso: tali lavori, come molti di voi ricorderanno, avevano coperto le due botole che chiudevano  gli Ossari: una posta al centro del corridoio, l’altra a lato di dove è ora l’Urna.
Quest’ultima botola è menzionata in un rapporto molto dettagliato relativo alla sepoltura di don Vincenzo Ambrosiano, altro grande Arciprete di Monacilioni. In breve, nel 1889 in seguito ad una segnalazione di tale Francesco Carpegna – un cognome che a Monacilioni non ho mai sentito – il ministero dell’interno dispose, tramite il prefetto, una indagine sul seppellimento illegale del Prelato. Fu accertato che dal Cimitero la salma fu trasportata nottetempo nella Cappella di Santa Reparata,  ponendo la cassa accanto a quella di un altro prete - don Giovanni Pizzuto – morto nel 1876, secondo il rapporto,  nella tomba sottostante alla vecchia sagrestia.
Tale descrizione è stata confermata da quanto si è potuto rilevare nel corso dei lavori eseguiti tra il 1990 ed il 1993.
Nel libro di don Mimì è riportata la morte, notizia sicuramente ben documentata, dell’arciprete Pizzuto Giambattista nel 1871: a parte i pochi anni di differenza e il nome parzialmente diverso, frutto di possibile errata trascrizione dell’antico rapporto, il resto combacia.
Riguardo ai quadri votivi non ho trovato molte notizie, tranne qualche appunto sugli oggetti man mano donati e  una citazione in una relazione per i cittadini dimoranti in America.
In proposito, la  cosa più interessante che ho rilevato è una elencazione datata 1957 dalla quale si evince che i quadri erano 14. Viene anche riportata la descrizione della “figura”, ma non la progressione cronologica.
Sicuramente ci saranno altre fonti (ad esempio sul retro dei singoli quadri) che si possono  esaminare.
Tra i documenti ho trovato la  relazione  di una festa di Santa Benedetta,  rivolta agli emigrati, che mi pare si possa  dedicare, ancora oggi,  a tutti i mac’liunar di ogni dove.
Non è datata, ma da nomi e dati in essa citati credo sia di pochi anni successiva al 1909.

In chiusura del mio intervento al convegno salutai in particolare e ringraziai  il carissimo don Mimì che dall’alto dei suoi - allora - 87 anni e più di  60 quale nostro parroco è sempre stato  per noi Pastore e Maestro. E mi piace ricordare qui e ora quel saluto...

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Relazione della grande festa di Santa Benedetta Martire.

A Voi diletti concittadini dimoranti in America si fa noto che la nostra amorosa Protettrice S. Benedetta Martire anche quest’anno è stata glorificata con festeggiamenti non inferiori agli anni decorsi. La solerte commissione svolse a meraviglia il programma prestabilito e si fa un dovere riferire a voi quanto segue, a voi che fermi nella vostra fede e nella vostra divozione inalterata alla nostra simpatica Santa, concorreste con ricche offerte a rendere sempre più bella ed attraente la tradizionale festività.
Il tempio fu parato,  con gusto artistico davvero,  dal noto signor Alfredo Tartaglia di Ripabottoni il quale da par suo seppe dare tale splendore, tal colpo d’occhio al lavoro, che i più intelligenti del paese non ricordano simili artistici paramenti (tuselli ?Ndr: parola non ben decifrabile).
Imponenti le funzioni religiose, con la rinomata musica di Salcito in chiesa diretta dal professore Carmine Pannitto.   Elevatissima l’orazione panegirica intessuta dal Padre Vincenzo Alvino di Benevento il quale fu addirittura sublime, quando con una parola alata  e commovente,  pregò la Taumaturga per voi e per le vostre famiglie.
La processione, imponentissima e grandiosa, per l’intervento come di solito della Società Cattolica di Santa Benedetta, delle due Confraternite e di numerosi pellegrinaggi.
Avanti la Reliquia furono portati tutti i quadri con oggetti d’oro della Santa.
All’uscire della processione avanti la chiesa vi fu la cascata dell’ Angeli che tutti ammiravano in alto con meraviglia ascoltando la commovente preghiera di due ragazzette verso la Reliquia, dirette dal Padre  Nicola Reina di Castelvetere.
Durante il giro furono incendiate numerose bombe carta; al passaggio al Piano furono sparate 4 grandi batterie.
Nelle sere del 20 e del 21 maggio riuscì splendida l’illuminazione ad acetilene. Tutto il paese fu illuminato dal bravo artista Giovanni Barbato da Campobasso. Elegante il circolo musicale in piazza in favore della commissione stessa. Divertentissima la brava musica di Salcito diretta dal maestro Beniamino Meo e la musichetta di Pasquale di Castelvetere che allietarono tutti con l’esecuzione di sceltissimo programma.
La festa si chiuse con l’incendio di copioso e artistico fuoco pirotecnico preparato dai signori Paradiso di Campolieto.
Così amatissimi concittadini si preparò ed eseguì la nostra bella festa, la riuscita della quale ridonda in gran parte a vostro merito e gloria, perché avete saputo raccogliere e mandare qui non lieve somma.
Santa Benedetta Vi guardi sempre propizia e benedica  dal Cielo…”
E benedica anche noi tutti.

Enrico Martino

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Società Cooperativa di Consumo di Monacilioni

Ci è sempre stato detto che il nostro paese era all’avanguardia e che veniva preso a modello: solo campanilismo?
     Forse no.
     Nel 1911, ad esempio, esisteva una “Società Cooperativa di Consumo di Monacilioni” avente come fine la   “mutua beneficenza, procurando ai soci, all’ingrosso e al minuto, quanto può essere necessario al mantenimento della propria famiglia in generi alimentari, vestiario, combustibile e altro, al minimo prezzo possibile”.
     Fu costituita, con atto notarile, il 4 giugno di quell’anno, con un capitale sociale di 50 azioni da 20 lire ognuno.
     Funzionò dal 1912 (con apertura delle vendite dal 1° marzo) fino al 1916.
     Nel 1913 parteciparono all’assemblea 32 soci e risulta che si congratularono con chi amministrava  “per il buon andamento della cooperativa,  per aver trovato economia in prezzi e buona qualità nella merce”. Nella loro relazione i sindaci verbalizzarono anche di “tante battaglie avute dai pubblici esercenti”, evidentemente per la concorrenza.
     Sappiamo, però, che in quel periodo ci fu la Grande Guerra e così il 26 febbraio 1916 i soci decisero di sciogliere in anticipo la Società.
     Il motivo? C’era stata un’altra chiamata alle armi e la Cooperativa non aveva più personale e nessun socio voleva fare il magazziniere o portare avanti la struttura.
Un’ altra società fu costituita poi nel 1920, denominata “Unione Cooperativa di Monacilioni”, con scopi simili alla precedente. Di questa però non risultano - a me -  notizie oltre il 1921.
     Simili sodalizi esistevano, per la verità, anche in altri comuni e non erano, quindi, prerogativa solo del nostro, però – anche in questo campo – il piccolo grande Monacilioni non era secondo a nessuno…

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I puzz' d'assagg

     Nel 1812 il Decurionato di Monacilioni, equivalente alle attuali amministrazioni comunali, stanziò una somma per fare dei "... pozzi di sondaggio nella costa orientale del paese...", poichè già allora si erano verificati dei movimenti franosi.

     Le persone che ricordano il famoso Muraglione che portava "bbell' pu coll", esattamente nella costa orientale del paese (a sinistra nella foto del Panorama del 1917) , sapranno di certo che nel nostro bel  dialetto quella zona si chiama "I PUZZ'  D'ASSAGG..."  !

     Appunto, i pozzi di sondaggio del Decurionato...

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Monarchia o Repubblica?

Il 2 giugno 1946 anche a Monacilioni, ovviamente, si votò per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica.
Votarono anche le donne e  in totale furono più di mille, per l'esattezza 1.044, le  persone che si recarono alle urne.

317 furono i voti in favore della repubblica,
660 per la monarchia,
53 le schede bianche,
14 le schede ritenute non valide.

Qualche tempo fa ne stavo parlando  "Mmez u' Chian" manifestando, in un certo qual modo, il mio stupore per la proporzione (ben i due terzi) verso la monarchia, considerando che all'epoca nel nostro paese - ma non solo - le condizioni socio-economiche dovevano essere quelle che erano, con le intuibili considerazioni che ne derivano...

Mi fu risposto, da parte di un signore che aveva vissuto proprio quei momenti e che aveva visto come era stata fatta la... propaganda elettorale..., che le indicazioni date dai "maggiorenti" locali erano totalmente indirizzate verso la monarchia e che, quindi, anzichè guardare il divario numerico bisognava apprezzare i 300 e passa che avevano scelto la Repubblica!

Giusto. Grande Monacilioni...

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Monacilioni nel 1833

Pochi giorni fa, scorrendo le pagine di un antico testo, ho letto che nel 1833 Monacilioni  aveva la bellezza di 2.700  abitanti!
Davvero non male se, come risulta dallo stesso libro, paesi vicini come Pietracatella e Campolieto ne avevano molti di meno.
Addirittura il capoluogo Campobasso contava 8.000 residenti, pari quindi a tre volte circa la popolazione della nostra cittadina: se potessimo fare la stessa proporzione avremmo ora a Monacilioni 20.000 abitanti!
Tra le notizie che si possono ricavare, si trova che Pietracatella è a tre miglia italiane a scirocco: sono andato a vedere su una cartina moderna e la distanza in linea d’aria tra i due paesi è di circa 6 chilometri.
Ebbene, un miglio dell’epoca corrispondeva a 1.845 metri; quindi 5,5 chilometri!
Come dire che – con le possibilità tecniche di quasi due secoli fa – non era tanto sbagliata. Vi pare?
Purtroppo nulla c’è scritto in questo libro che possa darci ulteriori notizie su Catello, oltre quelle che già abbiamo e delle quali parleremo.
Il disegno della rosa dei venti è tratto proprio dal testo di che trattasi.
(Notizie tratte dal libro del Rampoldi :  Corografia dell’Italia volumi 1, 2 e 3 del 1832 1833, pagina 712.)
“MONACILIONI, ameno borgo della provincia di Capitanata, nel regno delle Due Sicilie, sopra un colle, ai di cui piedi occidentali scorre il Scannamadre. Sta a 20 miglia ad occidente da Lucera, e quasi altrettanto a greco da Trivento. Conta quasi 2.700 abitanti, attivi e molto operosi in varie manifatture di lana e di bambagia.”