“La Memoria di Monacilioni” compie dieci anni e diventa anche un libro...

A dir la verità i dieci anni li ha anche già perfino superati, ma la cosa di cui vi vogliamo parlare, come ogni progetto che si rispetti, ha avuto bisogno dei suoi tempi di gestazione...
Nell'articolo di esordio del sito (vedi ultimo articolo in fondo a questa pagina), invitammo tutti - compaesani e non - a collaborare alla sua crescita per consolidare il ricordo del nostro paese, della nostra terra, del nostro passato e delle nostre famiglie. Intraprendemmo l’avventura del sito non per sentirci importanti o al centro di qualcosa, ma perché credevamo nella possibilità di dare conforto a quello spirito di appartenenza e di identità che sentivamo minacciato da un vento di modernità che, se per certi versi sembra entusiasmante, qualche volta può avere un effetto “straniante” e, nella foga di affermare il nuovo, rischia di perdere per strada qualcosa di prezioso e fondamentale...
La risposta all’invito è stata in tutti questi anni molto lusinghiera: messaggi di incoraggiamento sono giunti da tanti compaesani, dai loro “eredi sentimentali” e anche da tanti semplici simpatizzanti, e molti hanno risposto inviando racconti, poesie, fotografie, video, aneddoti e pezzettini di Storia.
Come gestori del sito ovviamente ringraziamo tutti, ma a ringraziare davvero non siamo noi, bensì proprio la Memoria di Monacilioni, intesa non come sito, ma proprio come quello Spirito della nostra Identità e della nostra Storia che, grazie al contributo di tutti, ha forse tratto nuova energia per allungare l’orizzonte del suo tempo.
In quell’articolo di quasi undici anni fa accennammo a una possibile promessa: “(…) in futuro non escludiamo di raccogliere tutte le testimonianze per fare una sorpresa”.
Ecco, la sorpresa è arrivata: è il libro che raccoglie questi dieci anni di “segni” del nostro Spirito…

La Memoria di Monacilioni
Dal web alla carta stampata: dieci anni di sito raccolti a cura di Maria Teresa Grano, Enrico Martino e Luigi Mezzacappa
Edizioni Youcanprint, 298 pagine, ISBN: 9791221477764
I ricavi derivanti dalla vendita delle copie saranno devoluti alla Società di Santa Benedetta.
Per l’acquisto, inquadra il “Qcode” al termine del video, oppure segui questo link.

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Il Molise c'è.

Vorrei dire due parole a quelli che dicono che il Molise non c'è.
Detrattori! Troppo facile divertirsi con i piccoli. Perchè è vero che siamo piccoli, ma solo geograficamente. In realtà siamo grandi piccoli e non ce la prendiamo a male, consapevoli come siamo del nostro essere e del nostro esserci. Solo due parole, così, giusto per precisare.
Simpatici burloni, venite in Molise. Per esempio, fate conto di essere partiti per una vacanza in un un'amena località turistica e casualmente attraversate il Molise. Ovviamente non vedrete niente, perchè il Molise non c'è, secondo voi. Ma fate conto che ad un certo punto del vostro viaggio, distrattamente, gettate un occhio ad un cartello segnaletico. Su questo cartello magari c'è scritto: Monacilioni. Che strano nome, che strano paese è mai questo, vi chiederete. Allora mettete le frecce e girate nella direzione indicata dal cartello. La curiosità è forte. Cominciate a respirare, cominciate a sentire qualcosa di diverso, vi sentite bene. Sentite che aria? Respirate, che l'aria è buona.
Bene, andate avanti per qualche chilometro, su per una stradina tutta curve e frane vi sentirete un poco sballottati, però guardate a destra e a sinistra, e vedrete qualcosa di simile ad un cruciverba colorato. Sono le nostre colline: un pezzo di terra appena arato, di colore marrone bruciato. Un altro pezzo giallo oro laddove è passata la mietitrebbia lasciando un tappeto di stoppie che brillano al sole. Ancora un altro, con il verde dei boschi di querce che si arrampicano sulle colline. Ora i vostri occhi cominciano a vedere e la vista è appagata da tanta naturale magnificenza. Andate avanti. Vedrete un mucchietto di case strette una all'altra, come in un abbraccio fraterno. Case che sanno di antico, di vite vissute. Vi sentite quasi allegri, non è così? Entrate ora in paese, arrivate in piazza. Quella piazza qui la chiamano a mezz'u chian. Vedrete persone sedute all'aperto, davanti al bar, a giocare a carte e a chiacchierare serene. Quei volti vi piaceranno, sono volti di gente che conosce la fatica e che apprezza il momento di riposo insieme agli amici a dimenticare la dura giornata. Chiedete loro qualche informazione. Vi sorprenderanno: una mano tesa in segno di amicizia che presto sarà una pacca sulla spalla, un invito a bere un bicchiere di quello buono. Ma non finisce qui: per quella gente ormai voi siete un amico, uno di loro, e vi inviteranno nelle loro case per mangiare un semplice boccone, quello che c'è. Sulla tavola vestita a festa come fosse domenica, vi verrà magari servito un piatto di cavatelli. Poca cosa: acqua, farina e il lavoro della massaia che ha impastato e lavorato quel ben di Dio. E poi la festa continua: salsicce e soppressata, si è ammazzato il maiale in inverno. E qualche verdura fresca raccolta nell'orto. Ora voi godete di questi sapori genuini e vi sentite come a casa vostra, soddisfatti nel palato e nel cuore che si è aperto a tanto calore. Si conversa allegramente, vi racconteranno fatti accaduti in paese, quelli divertenti, perchè loro non vorranno rattristarvi con racconti che possano in qualche modo turbarvi. Bene, ora una passeggiata a scoprire il paese. Vedrete una bella piazzetta dove spicca una statua che raffigura un emigrante, con la sua valigia accanto. Sapete che in quei paesi dove la vita deve essere conquistata giorno per giorno con il sudore, a volte non si riesce a tirare avanti una famiglia. E allora si parte, si va in terre lontane, riempiendo la valigia di sogni, speranze e nostalgia. Poi, la cappella di Santa Benedetta, piccola , in pietra, che conserva all'interno il corpo della Santa Martire che i paesani andarono a prendere a Roma ai tempi della persecuzione dei cattolici. Ma questa è un'altra storia. Sarete però trasportati dall'atmosfera mistica, e magari vi scapperà anche una preghiera. Ora, usciti da quella sensazione di piacevole arrendevolezza a ciò che è al di sopra delle umane miserie, guardate il cielo. Vedrete un azzurro intenso, un profondo azzurro che  vi farà pensare all'infinito, e appena riporterete lo sguardo in giù, capirete che avete perso il senso del tempo , che non avete guardato l'orologio, che non avete risposto al cellulare e che siete sereni, così incredibilmente sereni, da rasentare la felicità e da sentirvi anche voi emigranti, quando dovrete ripartire.
Ecco, adesso avete assaggiato una piccola, piccolissima parte del piccolo grande Molise.
Tornerete, perchè c'è ancora molto da vedere. Altilia, per esempio, una piccola città romana, oppure il teatro sannita di  Pietrabbondante, oppure... la lista è lunga, e un viaggio alla scoperta di questa piccola grande regione, non sarà un'avventura ma una continua, piacevole sorpresa.
Andrete poi a raccontare che... il Molise c'è.

Maria Teresa          

"Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finchè non vi si sbarca".
Il racconto dell'isola sconosciuta, José Saramago

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Il posto dell'anima

"Ehi, buongiorno! Come mai in piedi così presto? Sono tre settimane che è finita la scuola e non hai ancora perso l'abitudine? Ripòsati, sei in vacanza!"
"No, mamma... E' che... Nicolino, Nicolino mi ha chiesto di andare ad aiutarlo in campagna, a raccogliere le patate..."
Mi mordo la lingua: chissà perché ho aggiunto quel dettaglio? Le patate...
Se Nicolino non ha un orto, oppure ha un orto ma non ha le patate, sono fregato, devo inventarmi qualcos'altro. Così, su due piedi. E io non sono bravo a inventare storie. Se entro dieci secondi mia mamma non passa al contrattacco con la domanda: “Scusa, dove vai?”, sono salvo.
Non risponde e non contrattacca, ma questo non mi dà nessuna certezza che non abbia capito che le sto raccontando una bugia. Se la famiglia di Nicolino non ha campi di patate e lei lo sa (e lei lo sa, qui tutti sanno tutto di tutti!), capirà che c'è sotto qualcosa. Mi sorride. Forse ha capito e non mi dice niente, e se non mi dice niente è solo perché sa che qui non posso combinare guai, e i guai che posso combinare non sono di quelli che ti rovinano la vita, semmai te la faranno ricordare con malinconia.
Mi saluta, mi chiede se torno per pranzo. "Certo!", le rispondo al volo, senza indugiare neanche un istante. Di nuovo, mi mordo la lingua. Possibile che non riesca proprio a farmi furbo? Dovevo far finta di pensarci un attimo! Un altro indizio per mia madre! E allora aggiungo: "Anzi, sai cosa faccio? Sono un po' stanco, e magari dopo pranzo mi faccio anche una pennichella. Va a finire che questa volta seguo i tuoi consigli, aspetto che passi il caldo del primo pomeriggio, che dici?". Di nuovo: ho il sospetto che, per salvarla, ho peggiorato la mia situazione.
Mia mamma mi guarda, continua a sorridermi. Sì, ha capito. Non può non aver capito. Sicuramente ha capito che non gliela racconto giusta, anche se forse (e dico: forse!) non ha ancora ben chiari i contorni della storia. Ma non è il caso di stare lì, non è il caso di indugiare. Mi conosco: più sto lì, più parlo e più mi metto nei guai. Non è il caso di indagare per capire se ha capito. Scappo via, sparisco dal suo orizzonte prima che posso. Esco. Sono le sette del mattino.
Il paese è piccolo, ma le vie sono comunque deserte come non le ho mai viste. I pochi che incontro, con buona probabilità, stanno andando a prendere la corriera per Campobasso. Chi lavora in campagna si è alzato prima, e chi è in vacanza come me non è anche stupido come me: dorme ancora.
Qui tutti si conoscono, tutti si salutano. Mi salutano, e io rispondo. Chi mi conosce un po' di più mi chiede anche: "Luigi, che ci fai in giro a quest'ora?". Sorrido, non voglio sfidare la sorte, mi è già andata bene con mia mamma (ma sarà andata bene?). "Faccio un po' di movimento", rispondo. E mi volto, per controllare che mia mamma non sia sulla porta di casa, che non abbia sentito questa nuova versione. Non posso raccontare in piazza che vado da Nicolino. Non vorrei che si sapesse in giro. Mica per niente: solo perché non è vero.
Non vado da Nicolino. Non so dove andare, né cosa fare. Forse mi cercherò un posto dove sdraiarmi per dormire. Ma deve essere un posto ben protetto, al riparo dagli sguardi, in modo che non mi scopra nessuno. Se qualcuno mi scopre è la fine. Che cosa racconto, poi?
C’è una strana atmosfera, in paese, alle sette del mattino. Bella. L’aria è fresca, perfino un po’ frizzante. Diversa. O forse così mi sembra solo perché è diversa l’ora in cui normalmente esco. Prendo la strada intercomunale lungo la quale i genitori di Nicolino hanno la campagna, o così mi sembra di ricordare.
Adesso non c’è proprio più nessuno. Mio dio che bell’aria! A casa quest’odore non lo sento mai, e non sento questi rumori. Non sento questo silenzio. Non sento questa musica di vento, di ragliare d’asini, di cinguettii, di ronzii di mosche, tafani e vespe. Di vita. Ho quattordici anni, vivo al nord, in città, ma questo posto mi piace da morire. E poi mi piace vederlo così, poca gente. A casa mi perdo, la gente mi confonde. Qui mi sembra di ritrovarmi. Il tempo si dilata. Parlo e riesco ad ascoltarmi.
Mi fermo e mi volto a guardare il paese, appoggiato sulla cima di una delle tante, tantissime colline. Ad agosto qui la terra ha un unico colore, marrone, ma con infinite sfumature. Le colline si rincorrono come fossero onde di un mare surreale, a perdita d’occhio, e il fragore delle onde è sostituito da questo vento, che sembra alimentare il silenzio. Un controsenso, un paradosso: un rumore di silenzio, spettrale, che a me però infonde una tranquillità che non provo da nessun’altra parte. Ai piedi della collina c’è un trattore che trascina un aratro. Il rumore del motore è debolissimo, lo sento solo se lo voglio sentire. Sembra sia stato messo a tacere da questo paesaggio incredibile, come se il vento gli avesse chiesto per favore di non gridare, per decenza.
Dal punto in cui mi trovo, anche se sono ormai lontano quasi un chilometro, scorgo ancora la piazza del paese. Vuota. Nemmeno quando rientro a casa alle ore piccole c’è così poca gente, in piazza. Per forza: ci siamo noi, ragazzini, ragazzi e ragazzoni che d’estate si ritrovano qui per le vacanze. E siamo tanti, tantissimi.
Quando mia mamma mi ha dato il buongiorno, mezz'ora fa, non mi ero appena alzato: ero appena rientrato. Dalla mia prima notte brava. Quattordici anni. Birra. Tanta. Per fortuna non abbastanza da perdere completamente la cognizione, da non essere neanche più in grado di raccontare una bugia. Che poi... che bugia? Come vuoi che non abbia capito, mia mamma? Chissà che occhiaie, e chissà che odore mi porto addosso! La storiella delle patate di Nicolino non l’avrà insospettita: l’avrà convinta che avevo qualcosa da nascondere.
E qualcosa da nascondere ce l’avevo, eccome. Da nascondere così tanto che in quel momento era ancora nascosto anche a me stesso: quello stava diventando il mio posto dell’anima.
A quattordici anni non sono cose che si raccontano... alla prima mamma che passa.

Luigi                 

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Case "spallate"...

Ormai è quasi Natale, tutto luccica, sembra, in città, ché dobbiamo prepararci all'evento, con gioia  e con frenetica convinzione, a buttarci nella follia collettiva degli acquisti, dei tappi di spumante, degli alberi bardati a festa, degli auguri strillati al megafono.
Ecco, questo è il periodo in cui il mio pensiero va particolarmente, più di sempre, al mio paesello.
Il mio paesello adagiato come un piccolo gigante sulla collina, un presepe che mi porta alla visione di quel Natale sano, semplice, commosso e genuino, come dovrebbe essere il Natale. Vedo quella cartolina, quell’immagine di vita, di rinascita, ma tristemente vedo anche l’altra metà della mela: le case spallate. Mi viene agli occhi l’immagine scombinata, ma pur tragicamente vera, i due opposti e complementari, la vita, la morte.
Le case spallate... un insieme di rovine, di pietre ammassate, che si reggono non si sa come ancora in piedi, così vive, così palpitanti fino ad essere ancora paese, fino ad essere ancora casa. Già. Sentimenti contrastanti, è vero. Frana, distruzione, qualcosa è andato via, qualcosa sopravvive. Paese fantasma? Però affascinante, al punto che si viene inevitabilmente investiti, andando a spiare e facendo andare l’occhio oltre la recinzione di sicurezza, dall’atmosfera di rovina e di abbandono. Ogni pietra, ogni muro, ogni finestra che ancora resiste e si apre e si richiude a seconda di come voglia il vento, non può che stringere il cuore, con la sua aria solitaria, con il brivido degli spiriti che sembrano muoversi per le stradine, per le ruvarelle, sotto gli sporti, che puoi solo ricordare. Odore di muffa e odore di muschio, odore di Natale, odore di casa mia.
Vi amiamo, case spallate. Siete un messaggio forte, quello di un paese grandioso, che vive e palpita in ogni sua pietra, un paese fiero che non molla, un combattente che si rialza sempre in piedi. E quello che vogliamo è che ogni pur minima parte del passato venga conservata, che non si sbricioli in polvere. Come non si sbriciolino e diventino polvere i ricordi, vogliamo che l’anima del nostro paese venga rispettata e fatta vivere proiettata nel futuro che tutti vogliamo, un futuro giusto.

Maria Teresa

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Pensieri di fine estate…

Eccoli… arrivano puntuali, i primi temporali estivi. Segno inequivocabile dell’estate che se ne va.
Però che estate, quest’estate maciliuna’r! Abbiamo atteso un lungo anno che arrivasse… e quanti sogni, quanti desideri inespressi abbiamo affidato all’attesa.
Il ritorno, il profumo del grano appena mietuto, l’azzurro più azzurro del cielo pulito, l’aria frizzante, confortante, l’aria di casa nostra.
E  così ci siamo ritrovati, a mez u chian, ci siamo riconosciuti, ci siamo raccontati…
Ora questa bella estate sta per finire, molti di noi sono partiti, molti stanno per farlo, altri rimangono. Comincia forse ad aleggiare un vago senso di tristezza, nostalgia serpeggiante insieme al profumo della terra bagnata dalla pioggia, della legna che brucia già in qualche camino.
Ma... rimane la nostra memoria, a farci dimenticare le nostalgie.
Abbiamo familiarizzato, con questo ricorrente andare, rimanendo con il cuore ricoverato sotto il campanile della chiesa madre, tornandovi, noi che siamo partiti, ogni anno, in estate.
La memoria è un diario dove scriviamo i fatti più pregnanti  della nostra esistenza.
Distruggere la memoria equivale a distruggere la base della propria identità e della propria continuità nel tempo. Tutto ciò che noi oggi siamo ha radici nel passato, e dimenticare queste radici è come vivere una vita priva di ogni riferimento.
Diviene pertanto necessario preservare la memoria, ad evitare che i ricordi rischino di rimanere frammentari, sbiaditi, o vengano del tutto cancellati.
Metterli insieme, scrivere, raccontare, ci consente di rimanere integri e di non perderci durante il cammino.
Una fotografia, anche ingiallita dal tempo, racconta una storia, rivela un luogo, un evento, uno stato d’animo, è potente, forse, più di mille parole. E con le foto i video, ma anche con i racconti del passato ricostruiamo insieme il nostro tempo e quello dei nostri nonni.
Ricompattare le memorie individuali per formare una memoria collettiva, questo è il senso del nostro raccontarci in questo sito, tutti insieme.
Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a dicembre.
E... benvenuto autunno!
                                                                                                               Maria Teresa, Enrico e Gigi

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Benvenuti!

L'idea di questo sito nasce la sera del 15 agosto 2012 in seguito a uno scambio di battute tra Enrico Martino, Maria Teresa Grano e Luigi Mezzacappa, subito dopo la proiezione di alcuni film amatoriali girati tra gli anni ’60 e ’70 da “Cicciarell” (Francesco Martino) e da Antonio “di Stella”, che Enrico ha organizzato nella piazzetta del Monumento all’Emigrante.
Il titolo del sito dovrebbe già da solo spiegarne il senso e l'obbiettivo, ma probabilmente non spiega del tutto il motivo e il bisogno che ci hanno spinti a crearlo.
Certo, l'amore per le nostre origini e per la nostra terra e il richiamo delle nostre radici sono un "movente" forte, ma anche se non vogliamo essere così presuntuosi e non crediamo di essere gli unici depositari di un sentimento esclusivo, c'è comunque qualcosa in più che dobbiamo dire, raccontare e spiegare, perché se ci fermassimo qui sentiremmo di non aver detto tutto...
La storia di Monacilioni è molto particolare, ma, anche in questo caso, non così diversa ed esclusiva: un paese del sud dell'Italia con una lunga tradizione e storia di umiltà, lavoro e sofferenza, sudore e fatica, di contadini e artigiani che vivono la loro vita con grande dignità e semplicità, è una caratteristica che accomuna molti paesi del sud dell'Italia e del mondo.
Come tutti i paesi, anche noi possiamo vantare un'infinità di storie, aneddoti e "fatterelli" che costituiscono e definiscono il tratto "genetico", la "specialità" della nostra gente.
La nostra Storia non è più ricca o più gloriosa; le nostre storie, i nostri aneddoti e i nostri "fatterelli" non sono più belli, più divertenti o più geniali di quelli di tanti altri paesi, però... sono i nostri, ed è questo che noi cercheremo di raccontare: il nostro "segno". Il nostro sogno.
Questo, se non altro, risulterà assolutamente unico. E se non sarà straordinario per tutti coloro che avranno la curiosità di leggere, guardare e ascoltare le testimonianze raccolte in questo sito, lo sarà sicuramente per noi, per quelli, parafrasando Bruno Lauzi: "con quella faccia un po' così e quell'espressione un po' così, che hanno visto"... Monacilioni!
Invitiamo tutti, compaesani e non, a collaborare alla crescita di questo sito, a consolidare il ricordo del nostro paese, della nostra terra, delle nostre famiglie, del nostro passato.
Scrivete per inviarci tutto il materiale che vorrete condividere. Il sito costituirà la nostra memoria e, in futuro, non escludiamo di raccogliere tutte le testimonianze per fare a tutti voi... una grande sorpresa!

Per comunicare con noi, andate alla pagina "SCRIVETECI!".

Enrico Martino, Maria Teresa Grano e Luigi Mezzacappa